Oggi, grande sorpresa. Si va al cinema a vedere Biancaneve! Stringo la mano di mio fratello più grande. Nella mia testa si concretizza una domanda: Ma Biancaneve non è quella della matrigna? Me la tengo per me. Forse mi sbaglio.
Cinema Metropol: luci spente e subito immagini, musica, canzoni. E poi arriva lei, la Matrigna (e ci vuole la maiuscola, eccome se ci vuole!). Specchio, specchio delle mie brame…Inquadratura di primo piano strettissima: labbra rosse, occhi neri, ma neri, neri e quel colletto così inamidato, così alto…
Vedo l’immagine riflessa nello specchio. Parte un diabolico urlo. La Matrigna urla e tanto anche. Mi copro gli occhi con le mani e finisco giù, sotto la poltrona, che lì è più sicuro.
Maligna, arcigna, asprigna, gramigna… Che paura! E anche Natura matrigna…No, quella è un’altra favola che ho imparato dopo.
Paura, paura… Mi ripeto per incoraggiarmi. E faccio bene, che ammettere di avere paura è già un grande passo in avanti. Ma allora non potevo saperlo.
Non sapevo che anni dopo un esperto di bambini avrebbe scritto Il mondo incantato. Un librone grosso così, tutto dedicato alle favole. E via a scrivere che i cattivi fanno bene ai bambini. Sì, sì, proprio così scriveva Bruno Bettlheim.
Più o meno sosteneva che per imparare a cavarsela e a superare gli ostacoli senza aggirarli, il bambino, come l’adulto (qui drizziamo le orecchie, perché si parla anche di noi), ha bisogno di conoscere se stesso e il complesso mondo in cui vive e si relaziona. E in cui ci stanno pure i cattivi, aggiungo io, per non dimenticarlo mai.
Beh, uno direbbe, ti sei beccata Biancaneve e hai imparato la lezione. Basta così. E no, che Biancaneve sta in buona compagnia. Ce lo ha ricordato tanto gentilmente il Lucio nazionale:...Attenti al lupo…C'è una casetta piccola così… Con tante finestrelle colorate…Guarda come son tranquilla io… Anche se attraverso il bosco… E no, cara Cappuccetto Rosso, hai poco da stare tranquilla. E con te, tutti noi, perché Dalla non canta Attenta al Lupo ma Attenti al lupo. E di quell’ Attenti lo ringraziamo ,ci sentiamo felici, perché si sa che la buona letteratura è tale se è capace di esprimere sentimenti universali, in cui possiamo democraticamente identificarci tutti.
Che dire poi delle streghe? Per scrivere questo articolo volevo documentarmi su qualche ‘fantastico’ libro specializzato, poi ho deciso di consultare un’esperta, già lei stessa affabulatrice in erba, mia nipote Caterina. Io: Chi è la strega più furba? Lei: Gothel. Io: e perché mai? Lei: perché scopre il principe mentre si arrampica su da Rapunzel. Doveva stare più attento quel principe! Ecco!
Ha già capito come funzionano le cose. Penso io.
Raperonzolo/Rapunzel è un nome così brutto, che in realtà deriva da fiori violetti bellissimi che
potevano chiamarli, che so, Violunzelli/Violunzel. Ma lasciamo stare.
Torniamo a Gothel, Dama Gothel per la precisione, una tipica strega delle favole dei Fratelli Grimm: brutta, malvagia e invidiosa.
Ma i fratelli Grimm, a cui siamo tutti riconoscenti per le belle storie che ci hanno narrato, non è che si sono inventati niente. Sono andati a guardare nei loro vecchi tomi di mitologia greca e guarda un po’, hanno trovato una certa Danae che, nonostante fosse stata chiusa in una torre dal padre, dopo varie vicissitudini, diviene madre niente meno che di Perseo. Mamma e figlio, miseri, vengono pure rinchiusi in una cassa di legno e mandati raminghi per il mare.
Di tutto ciò ci resta un piccolo frammento di Simonide di Ceo (e qui avrei dovuto chiedere aiuto a una mia carissima amica, che è anche amica vostra, che del Simonide ne sa tanto).
Il frammento si chiude con il più classico degli stili greci, quello della tragedia: Oh, figlio mio quanto soffro!
Vedete dove ci portano le favole?
In giro per il mondo, per la storia, per i sentimenti.
Tornando alla favola di Raperonzolo, non si sa bene che fine abbia fatto la nostra strega Gothel. Le ultime notizie a suo riguardo ce la danno rifugiata nella torre, con aria scornata, mentre Raperonzolo e il principe si sono ritrovati.
Quindi per la strega c’è un finale aperto, con la prospettiva di un sequel.
Questo ve l’ho ricordato con finalità di bene, perché desidero avvisarvi che le streghe sono sempre pronte a tornare e a rompere le uova nel paniere, come si suol dire. E attenti perché non sono tutte brutte, gobbe e ricurve, facili da riconoscere. Nella vita di tutti i giorni ce ne sono di bellissime, che vivono di fianco a noi. Riconoscerle mica è tanto facile.
Ci si può aiutare con l’espediente dell’oculista. Cos’è? Semplice, non l’ho inventato io: gli occhi sono lo specchio dell’anima. Quindi occhio agli occhi!
Ora, tanto per non stare tranquilli, passiamo agli orchi.
L’orco è uno che sta in qualche bosco, non tra le betulle ma in mezzo ai rovi, in un posto tetro e scomodo.
A volte abita in un castello brutto, che forse prima era bello, ma che lui, occupandolo
abusivamente, ha reso mezzo diroccato, buio, terrificante.
L’orco ha sempre una fame spaventosa e, attenti, mangia di tutto e mangia tutti, senza distinzione.
Ma ora, permettetemi una digressione che scavalca i canoni simbolici tradizionali: quando si parla di orchi io non posso fare a meno di pensare a Shrek, l’orco più buono del mondo!
Lo so, non si potrebbe, perché si confondono le idee della gente che non capisce più chi è il buono e chi è il cattivo. Ma io amo Shrek, così ingenuo, così verde! Così uniforme al suo melmoso stagno al centro della sua buia foresta con gli alberoni tentacolari. E così apparentemente tonto.
Dico tutto questo, non per dileggiare gli esperti, che fanno degli orchi il simbolo del pericolo e della parte nascosta nel buio di un io sconosciuto al suo possessore.
Secondo l’esimio inarrivabile Freud i cattivi, quindi anche gli orchi, sono una presenza fondamentale, non solo nelle favole, ma pure nella vita. E il professore, mentre siamo rilassati su un lettino, ci ricorda, mellifluo, che ognuno di noi piò incontrare un orco misterioso anche dentro se stesso, ma che lo può sconfiggere crescendo nella consapevolezza del proprio sé, proprio come ha fatto Pollicino.
Così, crescendo tra matrigne, lupi, streghe e orchi siamo diventati anche un po’ Pinocchio nel nostro lavoro, nelle nostre battaglie quotidiane del dare e dell’avere. Abbiamo il nostro Gatto e la nostra Volpe di ordinanza. Quanta fretta, ma dove corri, dove vai…Canta il rockettaro. Se ci ascolti per un momento, capirai…Lui è il gatto, ed io la volpe, siamo in società…Di noi ti puoi fidar…E quasi volessero appiopparci un abbonamento a una rete: … È una ditta specializzata, fa un contratto e vedrai…
Ma facciamo i seri, che qui si parla di cattivi, di Cattivi maestri, come scriveva Luigi Meneghello, che di cattivi se ne intendeva. E guarda un po’, li trovava anche fuori dalle favole.
Per concludere il discorsetto, non ci resta che consultare il più magico dei mondi, quello di internet, e scoprire che i cattivi delle favole sono un elenco sterminato. Ciascuno di noi se ne porta dentro qualcuno suo privato, segreto, di cui non svelerebbe il nome neanche se sdraiato sul lettino del citato psicanalista.
Ma io, e qui vi chiedo perdono, non sono un’esperta. Ho letto molte favole anche di quelle canoniche, quelle dei Fratelli Grimm, di Charles Perrault, di Hans Christian Andersen, ma mi sono appassionata alle favole della vita. Forse è stata colpa di quella matrigna là, quella che ho visto sul grande schermo del Metropol.
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