Chi legge o racconta ancora le favole ai bambini?
Quando s’apre il libro del tempo, tra le pagine in cui si scrisse la storia dei popoli, lungo il percorso che diede forma alle civiltà e al processo di crescita dell’etica morale, guida all’agire degli uomini, dominante importanza assunsero quei generi letterari che definiamo didattici e allegorici, finalizzati a trasmettere conoscenza e insegnamenti: virtù da perseguire e vizi da evitare.
L’allegoria veste ogni racconto e ne fa un condensato di epica spirituale e pedagogica. Metafore e descrizioni ricche di suggestioni colorano l’aspetto narrativo di umorismo, ironia, drammaticità, il tutto attraverso una simbologia che condensa un patrimonio di significati educativi.
Miti, leggende, favole e fiabe raccontano storie che possono essere considerate come “Exemplum” di messaggi morali ed etici sin dall’infanzia. La favola nella sua peculiarità assume una connotazione ben precisa nella storia della letteratura che affonda le sue radici nell’antichità, quando la funzione del: “C’era una volta” rimaneva nell’immaginario assumendo forme ben precise cui attribuire un significato.
Nate dalla volontà dell’uomo di comunicare con altri uomini per diffondere e tramandare l’esperienza del bene e del male, peripezie e disavventure, condensavano in sé tutto ciò che appartiene alla vita. Per molto tempo l’uomo ha fatto questo servendosi della voce, unico strumento in suo possesso, uno strumento prezioso perché rispecchia l’autentica personalità di ogni individuo. La voce e il tono dell’interpretazione che il narratore assume nel raccontare una favola, fissa nella memoria di chi ascolta l’immagine e il carattere dei personaggi che diverranno nel corso dell’esistenza modello di comportamenti. Per il bambino la visione immaginifica modella simboli positivi o negativi, paure e figure rassicuranti che lo accompagneranno nei sogni e nei giochi di ruolo.
La favola, per la sua immediatezza, condensa nella brevità della narrazione e in un linguaggio semplice, di facile fruizione, un insegnamento morale attraverso l’azione di personaggi, spesso animali “umanizzati”, che divengono simbolo di alcune caratteristiche del comportamento umano.
La strategia di rendere protagonisti gli animali ben risponde alle finalità del messaggio, gli uomini non apprezzano la critica diretta e la funzione dell’animale soddisfa questo gioco delle parti come esempio di bene e di male.
Le prime favole che appartengono alla cultura occidentale, risalgono a Esopo (ca 620 a.C. – ca 560 a.C.) e Fedro (ca 20 a.C. – 50 d.C.). Entrambi erano schiavi, il primo greco e il secondo latino e, grazie alla scelta di rendere protagonisti dei loro racconti gli animali che diventavano figure allegoriche, raccontarono la realtà in ogni aspetto, esprimendo, senza timore di essere condannati, le critiche più dure alla società di quel tempo.
La maschera che tipizza i personaggi nella storia del teatro antico e della commedia dell’arte, nella favola viene indossata dagli animali che, umanizzati e dotati di una psicologia fissa, diventano simbolo di vizi e virtù. Dalle favole abbiamo imparato ad attribuire difetti e pregi degli animali, la volpe incarna la furbizia, il gatto è opportunista, il cane è fedele, la formica è laboriosa e risparmiatrice, la cicala è simbolo dell’ozio…
Jung, psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero, teorizzava che l’inconscio, alla nascita, contiene delle impostazioni psichiche innate, informazioni trasmesse in modo ereditario fin dall’inizio dei tempi. Queste informazioni – codici di messaggi universali – appartengono a tutti i popoli e sono definiti archetipi. Secondo Jung gli archetipi hanno sede nell’inconscio collettivo, un sistema psichico più profondo dell’inconscio personale che, invece, raccoglie le esperienze personali dell’individuo.
Le favole come le fiabe contengono archetipi, cioè di queste immagini primordiali, idee innate e predeterminate dall’inconscio umano.
Un mondo di animali s’apre a ventaglio di immagini simbolo che fissano caratteri e diventano memoria, consuetudine, patrimonio culturale cui fare riferimento.
Riporto il testo di una favola di Esopo che ci induce a riflettere sulla ragione del potere il quale utilizza qualsiasi pretesto per raggiungere il proprio fine. Chi ha deciso di commettere un torto non ascolta nessuna ragione. I deboli spesso soccombono all’ingiustizia.
“Il lupo e l’agnello”
Un lupo vide un agnello vicino a un torrente che beveva, e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene là a monte, cominciò quindi ad accusarlo
di sporcare l'acqua, così che egli non poteva bere. L'agnello gli fece notare che, per bere, sfiorava appena l'acqua
e che, d'altra parte, stando a valle non gli era possibile intorbidire la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto, il lupo allora gli disse: “Ma tu sei quello che l'anno scorso ha insultato mio padre!” E l'agnello a spiegargli che a quella data non era ancora nato. “Bene” concluse il lupo, “ se tu sei così bravo a trovare
delle scuse, io non posso mica rinunciare a mangiarti.” La favola mostra che contro chi ha deciso di fare un torto non c'è giusta difesa che valga. Anche i capi di stato, quando hanno in mente di ottenere un vantaggio usando la forza, inventano pretesti, e non è possibile farli desistere con argomenti giusti e fondati.
Tra le favole più famose di Fedro si ricordano: “La volpe e l’uva” in cui la volpe, nonostante l’impegno di tutte le sue forze, non riesce a cogliere dei grappoli d’uva, alla fine se ne va sconsolata ma pur di non accettare i suoi limiti, preferisce giustificare il suo fallimento dicendo che l’uva era acerba. La morale della favola è rivolta a chi minimizza le proprie incapacità e invece di impegnarsi preferisce arrendersi.
Nella favola: “Il cane fedele”, l’animale non si fa ingannare dal cibo che il ladro gli vuole offrire per non farlo abbaiare, in questo caso si premia la lungimiranza di chi non cede a false promesse.
L’elenco delle favole antiche di Esopo e Fedro è assai ricco, di Esopo si contano più di 300 favole, di Fedro sono rimasti cinque libri che contengono 102 componimenti di cui 93 sono favole, cinque prologhi e cinque epiloghi. L’autore intitolò l’opera “Le Fabulae”. Si contano altre 32 contenute nella “Appendix perottina”.
È interessante osservare che la simbologia degli animali si diversifica nella cultura orientale rispetto a quella occidentale: mentre per noi l’animale più nobile è il leone, che rappresenta il dominio, il potere (valori fondamentali nella nostra società), nella favola orientale l’animale più considerato è la tartaruga, perché vive a lungo, quindi è più saggia e ha esperienza.
“Panchatantra”, così si intitola una delle raccolte di favole più famose dell’India, in essa le favole risalgono al IV e VI secolo d.C., i testi sono più elaborati rispetto alle favole orientali e oltre agli animali anche il cielo, la terra, l’oceano e il Gange diventano protagonisti della narrazione. Gli animali che ricorrono con una certa frequenza sono la scimmia, la tigre e l’elefante che assume un ruolo molto importante “signore dei gana” o anche “il signore degli eserciti”, è considerato dio della saggezza, dispensatore di successo, colui che supera gli ostacoli da cui anche il nome “signore degli ostacoli”.
Anche nelle favole africane l’elefante assume un ruolo positivo e diventa simbolo di porta fortuna.
Nelle favole degli indiani d’America primeggiano per doti positive il cavallo, l’orso e l’aquila, quest’ultima domina il cielo e diviene simbolo di potere e regalità.
Allo stesso modo, l’animale che incute paura nella cultura occidentale e ben descritto nelle favole di Esopo, è per eccellenza il lupo, nelle narrazioni africane è la iena, la bestia peggiore perché divoratrice di carogne e pertanto “carogna” essa stessa.
Sempre di Esopo, nella favola che ha per titolo “La lepre e la Tartaruga” la lepre rappresenta la superbia, difetto delle persone troppo sicure di sé e delle proprie capacità. La tartaruga rappresenta il coraggio di mettersi in gioco, nonostante le difficoltà che la vita può presentare.
Nella favola “Il topo e il leone” i due animali impartiscono lezioni positive, il valore della generosità e della riconoscenza.
Nella cultura cinese primeggiano per bellezza le favole antiche, tramandate oralmente di generazione in generazione, molte di esse sono sopravvissute nei secoli e ancor oggi rappresentano il patrimonio della cultura popolare che da sempre ha attribuito grande importanza ai valori sociali. La figura del drago è spesso presente nelle favole cinesi e in esse assume connotazioni molto diverse dal drago occidentale: mentre nelle culture europee il drago è una creatura aggressiva, il drago cinese è un simbolo spirituale e rappresenta prosperità e buona fortuna, nonché una divinità che favorisce l’armonia.
Animali, simboli e morale sono i pilastri della favola che diventa strumento di riflessione per bambini e adulti. C’è chi asserisce che le favole siano scritte per un pubblico adulto per l’ironia racchiusa nel messaggio della storia che diventa specchio, come abbiamo già sottolineato, dei vizi e delle virtù prettamente legate all’essere umano.
Battelheim dimostra come il messaggio di favole e fiabe aiuti invece i bambini a superare l’angoscia di essere piccoli in un mondo di grandi. Interessanti e convincenti sono le sue teorie in merito al pensiero animistico del bambino che parla con oggetti e animali. Lo studioso afferma “Non ci stupiamo che il vento e gli animali parlino o che un uomo si trasformi in un asino poiché la separazione tra organico e inorganico non è ancora definita come nel mondo degli adulti”
Il bambino ha bisogno per la sua crescita di ricevere insegnamenti in forma simbolica e le favole, dalle radici della storia dell’umanità, hanno contribuito ad alimentare questo patrimonio di simboli scrivendo per ognuno la visione del mondo e le scelte di vita.
Nell’era dell’informatica, dei videogiochi, facciamo sì che questo immenso patrimonio non vada perduto e cerchiamo di trovare il tempo per leggere favole ai nostri bambini perché i loro insegnamenti restano!
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