Feedback di Mirella Morelli
“7 storie per i tuoi occhi” è un libro di Simone Santi che, come dice lo stesso titolo, contiene sette splendide storie di cui, nel tempo, sicuramente vi parlerò.
Ma oggi, poiché parliamo di fiabe e favole, all’interno del nostro evento voglio segnalarvi in particolare uno di questi racconti: “Favola della conchiglia che credeva di essere un pavone”.
E’ la storia di una conchiglia che un giorno, osservando la foto di un bellissimo pavone su una cartolina portata da una folata di vento, all’improvviso "sente" di essere anche lei un pavone.
Sente dentro di sé come la strana malinconia di una vita non vissuta.
Ci pensa, ci pensa...
Matura infine la decisione di raggiungere l’Isola dei Pavoni della cartolina, per poter conoscere i suoi fratelli.
Naturalmente non sa come fare!
Chiede quindi aiuto all’Onda la quale, ascoltando il perché di quella richiesta, le ride in faccia, rimarcando che lei è una semplice conchiglia.
Lei però insiste e l’Onda si lascia convincere, sicché…
Non posso spoilerare oltre!
Vi dico solo che le avventure si dipanano per diciotto pagine fitte.
Ed è una sorta di viaggio di formazione in cui la piccola Conchiglia – che, tuttavia, a chi le osserva di essere piccola risponderà fino alla fine e sempre con fermezza: “No, no! Io sono grande!” – farà molti incontri.
Ad apprendere da questi incontri non sarà lei, o non soltanto lei, ma soprattutto coloro che la accompagnano.
Ogni frase, ogni personaggio, l’intera favola, tutto è una lunga metafora che spinge a riflessioni: come nelle scatole cinesi un pensiero ne contiene un altro, e poi un altro ancora.
La certezza della Conchiglia di essere un pavone si scontra con la sarcastica incredulità dell’Onda, che non le crede ma decide di assecondarla: con indifferenza, più che con condiscendenza, l’Onda accetta di accompagnarla così come un adulto accetta il capriccio di un bimbo senza capirne l’importanza e la passione della richiesta.
Nell'Onda ho visto la superficialità degli esseri umani di fronte alla conoscenza, l’assenza di curiosità verso chi incrocia la nostra esistenza.
Ma, per contro, la fiducia con la quale spesso ci affidiamo a qualcuno:
“Alla Conchiglia non servivano tante spiegazioni. Salì con un balzo sulla cresta dell’Onda, che si rigirò ritornando nel mare.
Il vento d’ incontro portava insieme tutti gli odori della notte e del mare profondo. La Conchiglia stava seduta davanti, cavalcando la sua onda a dondolo, e tra gli spruzzi rideva di iridescenze opalescenti.”
Come non pensare anche a Pirandello?
In particolare a “Il fu Mattia Pascal” e a “Uno, nessuno, centomila”: chi siamo realmente?
Siamo ciò che crediamo di essere, o non siamo piuttosto quel che gli altri credono di noi? Temi importanti, che permeano la favola dall’inizio alla fine. Perché chi lo dice che una favola non possa contenere domande così importanti?
L’incontro della Conchiglia con l’Onda è una disillusione cocente, di quelle disillusioni che fanno male e, si dice, aiutano a crescere.
La morale sottesa potrebbe essere che non bisogna arrendersi, se si è convinti di qualcosa!
Difatti la determinata Conchiglia non si arrende, perché è assolutamente convinta di essere un pavone e di riuscire a trovare i suoi amici.
L’incontro con il Gabbiano, al contrario, è un incontro positivo, o almeno costruttivo: ci sono persone che decidono di darci una chance, nella vita, fosse anche solo per dirci, alla fine, che avevano ragione loro. Ma così facendo ci permettono di proseguire.
In questa possibilità l’arricchimento e il raggiungimento della Verità saranno reciproci.
Determinante per la storia della Conchiglia sarà però l’incontro con Leda, la bambina.
Un po’ come nella favola di Saint-Exupéry - quando il Piccolo Principe incontra la Volpe, che le spiegherà la Vita e l’importanza della Rosa - Leda porterà la piccola Conchiglia e noi lettori alla comprensione del tutto.
Sempre, nella nostra vita, ci sono incontri che fanno la differenza.
Anche se la favola continua con altre riflessioni e molti particolari importanti, mi piace soffermarmi sull’importanza di chi sa vedere oltre ciò che diciamo ma soprattutto ciò che non sappiamo spiegare.
“Il Gabbiano sorrise, e un attimo dopo già confluiva in quello stato dell’essere dove le figurazioni e le qualità non si traducono che per analogie appena sfumate; e attraverso la sfera di luce che promanava dalla verità svelata dal Tempo, egli dilavava le penne e il volo d’argenteo candore.
Ed è così che io ho voluto raccontare, me ne avete dato licenza, la Favola dell’Illusione che aiutò a diventare grandi; a voi che dentro al vostro mito siete un po’ di più che semplicemente voi stessi, affinchè ancora non rendiate l’anima alla notte e non ve ne andiate anche voi a dormire.”
"Favola della Conchiglia che credeva di essere un pavone" è una deliziosa storia che scorre fluidamente pur nello stile aulico e talvolta nobilmente arcaico di Simone Santi.
Alcuni esempi:
"Cos'è che tra le tue penne brilla di una luce così allegra, che par che luca?"
(così chiede l'Ombrina al Gabbiano).
E noi non possiamo fare a meno di rammentare che Simone Santi è uno studioso di Dante, no?
"Orbene, fammi dono del tuo corrusco orpello"
Oppure:
"...repente esaudirei il desiderio che avete testé espresso": nel dialogo tra Ombrina e Gabbiano la terminologia si fa elevata - come merita una sfida tra Bene e Male, o come per tenere a bada Ingordigia o Invidia.
Ma quando è di scena la Conchiglia, o Leda la bambina, spesso le domande e le parole vengono ripetute come nelle filastrocche, o nel linguaggio semplice dei bimbi.
Il passaggio da uno stile all'altro non confonde il lettore, anzi: alla fine della favola, così come dell'intero libro, ci si dirà: "Questo, signori, è il magnifico stile di Simone Santi!".
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